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Monumenti

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Scopri i monumenti di Contessa Entellina

Data:

04 Settembre 2023

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Descrizione

Masseria Vaccarizzo

La Masseria Vaccarizzo, sita nella contrada omonima è sorta agli inizi del 1600 intorno ad una torre quadrangolare di origine medievale, costituisce un valido esempio di quelle strutture economico sociali che sorsero già a partire dal 1200, come centri di produzione agricola nel territorio dell’isola strettamente legate alle sue condizioni ambientali e storiche.

Essa costituisce non solo il simbolo ma anche la testimonianza della cultura materiale rurale per il ruolo storico che ha assunto nelle varie fasi delle trasformazioni delle strutture fondiarie e del paesaggio agrario siciliano, configurandosi pertanto come bene di notevole rilevanza etno-antropologica e storica. All’interno della masseria si trovano numerosi beni mobili testimonianza della tradizionale struttura produttiva che riguarda l’oleificazione ed in parte il processo di produzione del vino.

Nel 1990 con decreto dell’Assessore regionale dei beni culturali ed ambientale la masseria è stata dichiarata di importante interesse storico ed etnico-antropologico.


I mulini ad acqua

I contadini contessioti oltre a dedicarsi alla coltivazione della vite e all’allevamento si sono dedicati da sempre alla produzione di enormi quantità di grano duro che oggi viene venduto ad “ammassi” specializzati nella trasformazione e commercializzazione mentre fino a pochi decenni fa veniva trasformato in loco utilizzando dei mulini ad acqua.

Questi mulini sono ormai in disuso e si trovano ai piedi della collina sulla cui vetta si trova il castello di Calatamauro a circa 5 chilometri da Contessa Entellina in località “scirotta”, sono ricoperti da una folta vegetazione e si raggiungono attraverso sentieri, la loro visita può essere quindi associata a quella del castello di Calatamauro.

Ancora oggi, comunque, è possibile capire il loro funzionamento e rappresentano una testimonianza di un passato strettamente legato ad una vita agricola molto viva e fiorente.

(Fonte: Calogero Raviotta – Ass. Culturale “N. Chetta”)


Le Chiese

Molte sono le chiese aperte al culto a Contessa Entellina, nei borghi e nelle contrade rurali.

La Chiesa SS. Annunziata (KLISHA), dedicata anche a S. Nicola, patrono di Contessa Entellina, è sede della parrocchia di rito greco ed é dotata di iconostasi.

L’antica cappella diroccata, esistente quando arrivarono gli albanesi nel casale di Contessa, fu ricostruita e ampliata . La ricostruzione fu iniziata nel 1520 e venne adattata alle esigenze del rito greco. Chiusa al pubblico dopo il terremoto del 1968 è stata restaurata e riaperta al culto. E’ costituita da tre navate con cappelle laterali. Dalla navata laterale destra si accede alla sottostante antica cappella.

La Chiesa di S. Maria delle Grazie (Shën Mëria) fu costruita (secolo XVI) nelle vicinanze del luogo dove, secondo la tradizione, fu trovata una immagine della Madonna dipinta su una lastra di pietra. Inizialmente di rito greco, fu ceduta provvisoriamente ai fedeli di rito latino nel 1698 con la riserva di alcuni diritti a favore dei greci: proprietà, canto del “Cristòs Anésti” nei primi tre giorni dopo Pasqua, canto della “Paràclisis” nella prima quindicina di agosto; vespro, messa solenne e processione in occasione della festa annuale -otto settembre – della Madonna della Favara. Sede della parrocchia di rito latino, è dotata di casa canonica.

La Chiesa delle Anime Sante del Purgatorio, di rito greco, edificata verso il 1700, é costituita da una sola navata con iconostasi. Si trova al centro del paese (piazza Umberto I). E’ stata restaurata dopo il terremoto del 1968.

La Chiesa di S. Rocco é costituita da una sola navata di piccole dimensioni. Costruita alla fine del secolo XVII, verso il 1744 fu restaurata. Inagibile dopo il terremoto del 1968, é stata restaurata e recentemente riaperta al culto. E’ dotata di iconostasi. Custodisce un prezioso e antico organo a canne del secolo XVIII e la prima iconostasi (1938) della chiesa parrocchiale greca.

La Chiesa “Regina del Mondo”, sede della parrocchia, costituita nel 1958 nel borgo rurale Piano Cavaliere, é stata costruita dopo il 1950: una sola navata con annessa la casa parrocchiale.

La Chiesa Odigitria (=Guida), nella contrada rurale omonima, costruita dai profughi albanesi, è rimasta incompleta. E’ stata in parte restaurata nel 1958. Afferisce alla parrocchia greca. E’ il monumento storico della memoria, dove ogni anno a Pentecoste si va in pellegrinaggio per ringraziare la Madonna Odigitria, che guidò i profughi albanesi in Italia, e per ricordare col canto popolare “E bukura Moré” (o mia bella Morea) la pratria lontana lasciata per sempre dagli antenati albanesi.

La piccola Chiesa di S. Rosalia (navata unica), costruita alla fine del secolo XIX da Epifanio Viviani, si trova nella contrada omonima ed afferisce alla parrocchia latina.

La cappella di S. Calogero si trova nella contrada omonima, sulla strada provinciale, che porta verso Sciacca.

Nel borgo rurale Pizzillo a Nord-Ovest di Contessa, si trova la chiesa rurale della Comunità Trinità della Pace.

La chiesa di S. Antonio Abate, nel borgo rurale Castagnola, fu costruita dopo il 1950 e aperta al culto nel 1990. Costituita da una sola navata, é dotata di iconostasi ed afferisce alla parrocchia greca. Vi si celebra la messa saltuariamente.

La piccola cappella dedicata a S. Giuseppe si trova all’interno del “Parco delle Rimembranze”, vicino al cimitero. Costruita nel 1927, é stata recentemente restaurata.

La cappella rurale di S. Antonio di Padova, costruita nella seconda metà del secolo XIX, si trova nel feudo Bagnatelle. Danneggiata e inagibile dopo il terremoto del 1968, é’ stata recentemente ricostruita con le caratteristiche originarie.

La cappelletta dedicata alla Madonna del Balzo si trova nel quartiere omonimo del centro abitato (via S. Nicolò).

(Fonte: Calogero Raviotta – Ass. Culturale “N. Chetta”)


Santa Maria del Bosco

L’esistenza del monastero di S. Maria del Bosco, viene fatta risalire al XIII sec.

La prima memoria documentata risale al 21 Giugno 1308, data in cui il romitorio ottiene l’autorizzazione ecclesiastica dal vescovo di Agrigento Bertoldo de Labro, il quale il 20 luglio 1308 visita l’eremo concedendo un’indulgenza a coloro che ne visitassero la chiesa.

Domenica 22 Luglio 1309, lo stesso vescovo procedeva alla consacrazione della chiesa decorandola col titolo di Basilica. La chiesa medievale si estendeva “dinanzi il vestibolo del nuovo tempio e vi si vedono ancora oggi i ruderi dei mattoni del pavimento e due antiche sepolture”.

Sotto la regola benedettina, a partire dalla seconda metà del ‘300, iniziano le fortune, anche economiche, del monastero. Frate Olimpio da Giuliana attesta nella sua relazione molti lasciti, con dovizia di particolari, nel corso degli anni, a favore del monastero.

Nel 1433 il Re Alfonso concesse all’abbazia la completa esenzione fiscale. Seguirono negli anni successivi, secondo le linee di una storia comune a tutti i monasteri, grazie e concessioni tanto da parte regia quanto da parte pontificia, oltre ad un numero considerevole di donazioni, a volte seguite anche da contestazioni da parte degli eredi dei donatori, volendo essi riappropriarsi dei “loro” beni, mentre continuavano le contese con il vescovo agrigentino il quale ripetutamente cercava di affermare i suoi diritti.

Nel 1491 S. Maria del Bosco fu incorporata da Papa Innocenzo VIII alla congregazione benedettina di Monte Oliveto (benedettini bianchi), come priore fu inviato dall’abate Generale della Congregazione, ad attuare la riforma, Fra Michele da Volterra accompagnato da nove monaci, mentre il vecchio abate Placido Castagneda veniva costituito abate perpetuo, con il privilegio di potere indossare a vita, insieme ad altri due o tre frati l’abito benedettino nero.

La storia artistica del monastero qual lo si vede oggi inizia appunto dall’insediamento degli olivetani, mentre il dominio del monastero diveniva il puntello economico della congregazione olivetana in Sicilia. L’accresciuta potenza determinò notevoli contrasti; da una parte, clero contro fisco per far rispettare l’esenzione tributaria spettante ai beni ecclesiastici dipendenti direttamente da Roma, dall’altra, clero isolano contro abati continentali e curia romana per evitare che le rendite del monastero fossero spese fuori dalla Sicilia, come di fatto spesso era accaduto. Gli olivetani di Sicilia miravano ad una totale autonomia, non volendo rispondere fiscalmente ne al governo vice-reale ne alla curia romana.

Furono fondati e dotati con rendite dell’abbazia, a Palermo i monasteri dello Spasimo, di S. Spirito, di S. Giorgio in Kemonia, a Marineo il monastero di S. Maria, a Chiusa Sclafani di S. Leonardo, a Giuliana della SS.ma Trinità, per non parlare delle chiese, cappelle e i numerosi ospizi tenuti in vari siti. L’Abate di S. Maria del Bosco occupava il quarantacinquesimo seggio in Parlamento e di conseguenza doveva partecipare ai donativi, ma allentatasi l’autorità della corona nel sec. XVII l’Abate ricusò di intervenire ai parlamenti e contribuire ai donativi appellandosi all’autorità pontificia. Questa infine prevalse riuscendo ad ottenere nel 1682 una sentenza favorevole all’immunità del monastero.

La nuova chiesa fu terminata nel 1757 come è tradizione, e come si cerca di dimostrare, sui cartoni dell’architetto napoletano Luigi Vanvitelli, autore dell’Albergo dei Poveri di Palermo nonchè del celebre Palazzo Reale di Caserta, in una sala del quale si dice sia dipinta in affresco il monastero e la chiesa del bosco di Calatamauro.

La chiesa occupa un’area di mq.2.205,54 è a unica nave con cappelle, a croce latina e con cupola; L’esterno della basilica rimase grezza ad eccezione della facciata principale e del campanile. Questo fu eretto dal 1623 al maggio 1627 per cura ed opera dell’Abate don Vittorio da Napoli.

Quanto ai quadri i più importanti sono da considerare quelli di S. Rosalia di Vito d’Anna (1766), la Sacra Famiglia del Postiglione (1856), poi S.Benedetto del Angeletti, la Madonna della Consolazione del Lo Forte, la Madonna di Antonino Manno (1818). Degno di speciale attenzione nella sacrestia, un quadro del fiorentino Filippo Paladino che raffigura S. Francesca Romana del 1613.

Nella sala che mette in comunicazione il chiostro con la chiesa, si poteva ammirare un mausoleo sormontato dall’effigie dell’infantessa Eleonora d’Aragona, attribuita al Laurana (XV sec.). Morendo lei a Giuliana, nel 1405, i monaci le eressero quel monumento illustrato da una epigrafe la quale ricorda alla posterità il suo amore verso il monastero. Il mezzo busto costituisce oggi uno dei pezzi più apprezzati della galleria nazionale di Palazzo Abatellis a Palermo.

Con dispaccio reale del 1784 gli olivetani furono espulsi dal monastero in seguito all’ispezione ordinata dal vicerè Caracciolo, e ripartiti fra le sedi siciliane dei benedettini cassinesi.

Tolti i benedettini bianchi e fallite le disposizioni del sovrano per conservare chiesa e monastero, in meno di dieci anni questi vennero a deperire. Le popolazioni dei dintorni nel 1794 che con la confisca dei beni del monastero, si vedevano private tra l’altro di un centro di commesse di lavoro ottennero dieci anni dopo da Ferdinando IV che il monastero fosse affidato agli eremiti agostiniani. Il 14 Febbraio 1808, con sovrana risoluzione, venivano riassegnati al monastero nuovamente tutti i feudi che gli appartenevano. Questo ritrovato splendore era però destinato a durar poco, infatti nel 1866 con la legge di soppressione dei monasteri iniziava il suo rapido e definitivo declino. I comuni circonvicini, con petizioni invocavano il real governo che almeno il monumento fosse affidato ad alcuni degli stessi monaci i quali senza dubbio avrebbero avuto un particolare impegno a mantenerlo.

Il monastero in buona parte venduto all’asta, alla nobile famiglia Inglese, è divenuto un’importante centro aziendale agricolo, con il vantaggio non indifferente che almeno il monastero viene conservato nelle opere murarie e nelle coperture . La situazione della chiesa e dell’appartamento abbaziale, affidati invece al fondo culto non è delle migliori. Molti danni si sono susseguiti e la storia più recente è purtroppo una cronaca triste. Gli eventi sismici del 1968 nella Valle del Belice, hanno profondamente provato le strutture della chiesa e la parte di monastero di proprietà ecclesiastica, privi ormai da molto tempo di manutenzione. Ai dissesti dovuti al terremoto si susseguiranno infatti drammatici crolli nel 1970–72 e nel 1980-81.

A seguito di recenti studi nonché dei convegni promossi in loco dall’Associazione Culturale Nicolò Chetta di Contessa Entellina e patrocinati dallo stesso comune, nel cui territorio sorge l’abbazia, nonché dai quattro comuni limitrofi (1985, 1986, 1988) l’arcivescovo di Monreale responsabile di una parte dei fabbricati e della chiesa, ha conferito l’incarico di restauro della parte di sua pertinenza al Prof. Arch. C. Filangeri, al Prof. Ing. A. E. Rizzo, docenti della facoltà di architettura di Palermo e al Dott. Ing. E. Calabrese.

Impegno principale del programma è quello di restituire alla funzione tradizionale la chiesa. Tuttavia nell’area delle cappelle distrutte è stato previsto l’inserimento di parti innovative che dovranno consentire usi alternativi dell’invaso della chiesa ricostruita; la realizzazione di due cavee sovrapposte in grado di ospitare trecento posti a sedere disposti in maniera che fronteggino le cappelle settentrionali rimaste, a comporre un assetto teatrale di particolare suggestione.

Nella parte di fabbricato di pertinenza della curia si prevede che siano ristrutturate le parti tutelando la memoria del vecchio fabbricato e destinandola ad uso di ospitalità, realizzandovi adeguati servizi indipendenti. Complessivamente è stato prevista una struttura in grado di ospitare quaranta persone con pernottamento e centottanta per solo soggiorno”.

(Tratto da “STUDIO STORICO ARCHITETTONICO SUL MONASTERO DI SANTA MARIA DEL BOSCO DI CALATAMAURO IN CONTESSA ENTELLINA” di Giovanni Glaviano e Michele Migliore)


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Ultimo aggiornamento: 04/10/2023, 16:39