2 Novembre
Secondo il calendario liturgico romano il 2 novembre si commemorano i defunti, mentre nel calendario liturgico bizantino tale commemorazione ricorre il sabato che precede la domenica di Carnevale ed il sabato che precede la domenica di Pentecoste.
Per tali ricorrenze vengono dedicate ai defunti particolari e più frequenti funzioni religiose: messa nella cappella del cimitero, visita ai defunti, particolari funzioni religiose celebrate nella Chiesa dedicata alle Anime Sante del Purgatorio.
Come ricordano molte persone anziane, fino a 50 anni fa, nella predetta chiesa, per tutto il mese di novembre, al mattino presto si pregava per i defunti: si recitava il rosario, veniva celebrata la S. Messa, in parte cantata, ed a conclusione si cantava il noto inno arbëresh “Parkalésiëm për shpìrtrat e mirë”.
Inoltre per tutto il mese di novembre rimaneva esposta in tale chiesa, accanto all’altare, una tela, dipinta nel 1746, che rappresenta la morte.
Come si può notare in questo dipinto, riprodotto nel presente pieghevole, nella parte centrale la morte é rappresentata dal cadavere di un uomo disteso e nella parte inferiore invece sono dipinti il cappello dei papi (tiara), dei re (corona), dei cardinali, dei vescovi, dei sacerdoti, ecc. per significare che di fronte alla morte tutti gli uomini sono uguali.
Nella parte alta della tela sono riportate le seguenti parole, che invitano alla meditazione:
“U son or le ricchezze, u son gl’anni e le gemme e gli scettri e le corone, le mitre con purpurei colori?”
“Fermati e pria ch’altrove volgi i passi rimani attento e se non piangi all’ora o l’anima hai tu di bronzo o il cuore di sasso”.
“Si muore ed ogni cosa si lassa et all’eternità si passa”.
“Ferma il passo e guarda in me mortale la tua figura cangiata affatto, non forse in vita mia son stato tale qualor tu mi vedi brutto e sfatto, io fra viventi un dì a te fui eguale, tu un dì come me sarai disfatto, né saprai se non io l’originale o tu l’originale ed io ritratto”.
“Fuimus sicut vos, eritis sicut nos”
“Fummo come voi, sarete come noi”
“O tu che guardi in giù, io fui come sei tu,
sarai tu come sono io”.
“Pensa a questo e vai con Dio”.
Nella chiesa della Madonna della Favara vi sono due dipinti su tela dedicati alla morte, appesi alle pareti appena si entra, uno a destra e l’altro a sinistra (vedi riproduzione in questo pieghevole).
Un dipinto rappresenta la buona morte: un uomo sul letto circondato dagli angeli, dall’affetto dei suoi cari, dai santi, ecc. Vi si leggono le seguenti parole:
“A diu mi cedirò eternamenti, pri essiri cristianu e penitenti”.
L’altro dipinto invece é dedicato alla cattiva morte: un uomo disperato circondato da demoni. Vi sono scritte anche le seguenti parole:
“Li spassi ntra lu meghiu mi mancaru, unni l’anni mei comu vularu”.
8 Settembre
Le tre parole “Madonna della Favara” a Contessa Entellina solitamente si riferiscono all’immagine sacra, alla chiesa, alla processione, alla parrocchia, alla vara, alla confraternita.
L’immagine della Madonna della Favara (dipinta su lastra di pietra o mosaico), secondo la tradizione, fu trovata presso la fontana Favara. Si presume che questa immagine sia la “Odigitria di Calatamauro”, il mosaico esposto alla Galleria Regionale di Palermo (via Alloro). L’attuale statua della Madonna della Favara., scolpita da Benedetto Marabitti di Chiusa nel 1652, in molti aspetti (viso e posizione delle mani di Gesù Bambino e della Madonna, ecc.) assomiglia perfettamente alla Odigitria di Calatamauro. La statua é stata restaurata nel 1978 (eliminate le crepe del legno e rifatta l’indoratura).
Per custodire l’immagine trovata, nelle vicinanze della fontana fu costruita una cappella. Considerando che già nel 1603 era sede della confraternita “Compagnia della Madonna della Favara”, questa chiesa certamente fu costruita nel secolo XVI.
Fino all’inizio del secolo XVIII fu una chiesetta rurale, fuori dal centro abitato: il quartiere “Madonna della Favara é riportato per la prima volta nel rivelo del 1714.
E’ stata più volte ampliata e abbellita col concorso di tutti i contessioti (lavori dal 1751 al 1771; lavori dopo il crollo del 1843; dopo il terremoto del 1968 restaurata e riaperta al culto nel 1997).
Il Vescovo di Girgenti, con decreto del 18 agosto 1660, autorizzò la processione per solennizzare la festa della Madonna della Favara il giorno otto settembre di ogni anno.
Il vescovo di Girgenti il 9 dicembre 1698 istituì la parrocchia di rito romano, con sede provvisoria nella cappella rurale della Madonna della Favara.
Per meglio solennizzare la festa della Madonna della Favara, la statua viene portata in processione con l’artistica vara del 1838, costruita col contributo di tutti i contessioti (170 onze). La vara, opera di particolare interesse storico-artistico soggetta alla tutela della Soprintendenza alle Belle Arti, é stata restaurata nel 1984.
La “Congregazione della Madonna della Favara”, istituita nel 1882, é la Confraternita attuale più antica e numerosa di Contessa.
La festa dell’otto di settembre è il momento più importante dell’anno perché si celebrano i festeggiamenti in onore di Maria SS. Della Favara (fonte, vicino la chiesa di rito latino dove si racconta venne trovata l’effigie della madonna).
La Madonna è stata per molto tempo fino quasi ai giorni nostri motivo di contesa tra i due riti presenti a Contessa, quello greco e quello latino, gli storici contessioti infatti ci danno notizia di moltissime epistole spedite da questa o da quella parte a vescovi e alte cariche della chiesa.
Il dato che emerge è che la parrocchia di rito latino detiene per tutto l’anno la statua mentre quella di rito greco organizza i festeggiamenti (anche se questa cosa oggi si è molto ridimensionata).
La mattina dell’otto di settembre il vescovo dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, il papàs (ricoperti da paramenti preziosi) accompagnati dai fedeli (vestiti con i costumi albanesi) salgono in processione nella chiesa latina dove vengono attesi dai fedeli di rito latino e celebrano la funzione.
Nel pomeriggio la Madonna prima viene impreziosita con gli oggetti in oro donati nei secoli dai devoti e poi posta nella “vara” (di legno massiccio e adornata con preziose rifiniture).
Di sera si preparano i “portatori” (i giovani più virili del paese uniti in una congregazione) che in numero considerevole (circa 70 persone) caricano sulle loro spalle la “vara”.
Prima sfilano il vescovo e i preti, dopo i fedeli disposti in due lunghe file (molti dei quali scalzi) con le candele accese, poi la vara, la banda e le persone al seguito.
E’ un’emozione fortissima assistere alla processione… le vie strette del paese e tortuose che vengono riempite dalle luci delle candele… l’aria fresca di settembre, la preghiera, la gente devota… il calore dell’atmosfera riescono a lasciare al turista ma anche a chi non è mai mancato all’appuntamento emozioni incredibili.
Durante il tragitto vengono effettuate varie fermate nelle quali si prega e si canta, in una di queste, su di un belvedere che da sullo Spiazzo Greco, vengono effettuati i giochi pirotecnici.
Alla fine i “portatori” stremati si esibiscono nella salita davanti la chiesa latina, prima di entrare “in un sali e scendi” con la “vara” che, considerando la stanchezza, assume spesso toni drammatici… ma loro salgono e scendono di corsa ogni anno per nove volte e anche più, vincendo le resistenze di quelli che unendosi in una catena umana vorrebbero portare la “vara” dentro la chiesa… alla fine, però, è proprio la catena umana a “vincere”, la vara viene posta sul sagrato e la gente accorre per prendere un lembo di bambagia strofinato sulla fronte della Madonna e per pregare un’ultima volta.
I “portatori” gridano di felicità, si mettono, quasi ad abbracciarla, vicino la “vara” (foto e riprese rituali) e poi un ultimo sforzo fin dentro la chiesa.
Bisogna anche dire che la festa inizia alcuni giorni prima della processione e si consuma lentamente attraverso l’esibizione di gruppi folk, orchestre, gruppi teatrali, artisti famosi creando per una settimana circa nel paese un’aria di festa, una festa piena di storia, di devozione, una festa vera, partecipata dai contessioti residenti ma anche da quelli emigrati tanti anni fa che spesso ritornano da tutte le parti del mondo o che partecipano indirettamente attraverso offerte in denaro affinché la “festa” si rinnovi, “tutti i contessioti” contribuiscono al rinnovarsi della festa…
Pasqua arbëreshe
La Pasqua a Contessa Entellina è ricca di momenti di intensa preghiera e suggestione. Per le strade i ragazzi il Giovedì Santo e la notte di Pasqua girano cantando dei canti tradizionali che annunciano la morte e la resurrezione di Cristo.
Da non perdere è la funzione religiosa della notte di Pasqua quando il Papas dopo una funzione accende una grossa candela, le luci della chiesa si spengono, i fedeli passano davanti al celebrante accendono la loro candela e in processione escono fuori.
Fuori, con le porte della chiesa chiuse il Papas celebra un’altra funzione alla fine bussa per tre volte annunciando la resurrezione di Cristo.
All’inizio la porta della chiesa rimane chiusa, ma dopo viene spalancata e i fedeli entrano.
Oltre a questa breve descrizione e ad un piccolo filmato che potete scaricare dal pulsante in alto “Filmati” c’è da dire che la chiesa, per terra, è cosparsa di alloro e che i fedeli dovrebbero tenere pertutta la durata della funzione la candela accesa e poi portarla a casa e conservarla per accenderla durante l’anno nei momenti difficili.
Benedizione delle acque
Il giorno dell’Epifania viene celebrata la S. liturgia solenne e la “Benedizione dell’acqua” nella fontana pubblica “biveri” per commemorare il battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Mentre si canta l’inno “En Iordani” una colomba scende scivolando lungo una corda e si ferma sulla fontana davanti al celebrante: simboleggia lo Spirito Santo che apparve nel Giordano sotto forma di colomba. Secondo la tradizione, per l’Epifania si possono trarre gli auspici dell’anno appena cominciato: se quando scende la colomba soffia il vento di tramontana l’annata è povera, se soffia il vento di scirocco l’annata sarà abbondante.
Lingua arbëreshe
A Contessa Entellina si parla ancor oggi la lingua degli antenati, che fondarono il paese nel secolo XV. Pochi però sanno leggere e scrivere la lingua albanese, che viene usata solitamente nei rapporti familiari. L’alfabeto della lingua albanese comprende 36 lettere, alcune delle quali sono composte da due lettere semplici.
Il più importante poeta e scrittore albanese di Contessa Entellina é Nicolò Chetta (1741-1803), sacerdote di rito bizantino e rettore del Collegio greco-albanese di Palermo.Notevole e interessante, anche se poco conosciuta e la produzione letteraria popolare locale albanese (in prosa ed in versi).
Costume arbëreshe
I costumi popolari italo-albanesi, riccamente lavorati e ben rifiniti (colori, ricami e decorazioni), possono essere considerati tra i più belli dell’Europa e vengono indossati in occasione di particolari ricorrenze familiari, religiose o civili.
A Contessa Entellina, i costumi tradizionali esistenti sono recenti. Sono stati infatti confezionati, su parziale imitazione di quelli di Piana degli Albanesi, dal 1937 ad oggi e vengono indossati per la festa dell’8 settembre, a Pasqua e per l’Epifania o in occasione di ricorrenze familiari o manifestazioni civili e culturali locali.
Pagina aggiornata il 05/10/2023